24 maggio 2012 1)
La storia delle finzioni giuridiche trova origine agli albori dell’umanità; infatti, già negli ordinamenti giuridici dei popoli più antichi, nell’area mesopotamica, nel mondo greco, in quello babilonese, in Egitto, in India e nel primo diritto romano, si eseguivano sacrifici animali, fingendo che fossero umani, o si offrivano oggetti simbolici di scarso valore, facendo finta si trattasse di cose preziose. 2)
Se è vero che tracce embrionali di finzioni giuridiche sono rintracciabili in questi periodi storici, è altrettanto innegabile che è nel mondo romano che la finzione giuridica trova la sua culla.
La storia della fictio iuris è fortemente debitrice del diritto romano: infatti, è proprio a questo che si deve attribuire la creazione cosciente e l’utilizzazione sistematica dello strumento in questione, nonché la raffinazione dei requisiti applicativi: 3) «essi, avendo foggiato il nomen, hanno dimostrato in concreto la conoscenza del valore dello strumento, delle risorse che se ne potevano trarre, dei limiti e modi del suo impiego». 4)
Secondo alcuni autori l’ordinamento giuridico romano conosceva solo due tipi di fictiones: quelle legali e quelle pretorie, con esclusione delle finzioni giurisprudenziali; nell’opinione di questo filone di pensiero, la fictio è un procedimento alogico e autoritativo riconducibile solo all’attività del legislatore e del pretore, e non certamente all’opera del giudice, che utilizzava solo l’analogia e l’interpretazione estensiva. 5)
Secondo altri autori – e anche nell’opinione di chi scrive – il diritto romano annoverava tre tipi di finzioni giuridiche, cioè le finzioni legislative, pretorie e giurisprudenziali. 6)
Le finzioni legislative erano contenute in veri e propri testi legislativi.
Fittizia – di nome e di fatto – era la fictio legis Corneliae. Il cives morto in prigionia nemica si doveva considerare deceduto fin dal momento della cattura: infatti, solo in tal modo, si conservava la validità del testamento, che, altrimenti, secondo la capitis deminutio maxima, sarebbe dovuto essere invalidato all’atto stesso della prigionia. In epoca successiva – forse –, tale fictio fu estesa dalla successione testamentaria a quella ab intestato. 7)
Nella rassegna romana delle finzioni giuridiche legislative bisogna annoverare anche il postliminium. Nella sua versione laica, l’istituto fingeva che i cittadini romani, caduti in mano del nemico, ma tornati in civitatem, non fossero mai stati in prigionia servi hostium, non avessero mai perso il loro status giuridico e, quindi, rientrassero in patria nel pieno dei loro diritti. 8) Nella versione religiosa – descritta da Tertulliano – il postliminium prevedeva che il fedele peccatore potesse essere riaccolto nella Chiesa come se non avesse mai peccato.
Già in voga a quel tempo – ma ancora attuale e se ne parlerà nei prosieguo – era la finzione legata al concepito. Dal momento che allora – come ora – la capacità giuridica si acquistava con la nascita, per evitare che il conceptus fosse considerato come un qualcosa di indefinito non in rerum natura, sotto la spinta della Chiesa – fortemente avversata da quella corrente di pensiero, anche piuttosto condivisa, che restava ferma nell’idea che il nascituro fosse non in rebus humanis - si cominciò a fingere che il concepito fosse un soggetto giuridico, sebbene in realtà soggetto non fosse o non lo fosse ancora. 9)
Situazione analoga si verificava per l’hereditas iacens, cioè l’eredità nel periodo compreso tra la morte del de cuius e l’aditio da parte degli heredi. Esclusa la possibilità di considerare i beni dell’asse ereditario come res nullius, per il rischio che fossero oggetto di occupazione, si decise di fingere – nell’accezione primordiale del termine, ovvero plasmare una realtà nuova – una retroattività: infatti, la presa di possesso dei beni da parte degli eredi era ricondotta al momento della morte del defunto, e il tutto era legittimato, prima, dall’identificazione tra eredità ed erede, poi, dalla sovrapposizione tra eredità e defunto e, infine, dalla considerazione dell’eredità come persona giuridica.
Nell’ottica di fictio iuris di rango legislativo si collocava anche l’isituto dell’adrogatio. Così era denominato l’atto con cui il paterfamilias assumeva sotto la propria potestas una persona sui iuris, che assumeva lo status di filiusfamilias, e tutti gli altri membri della sua familia, che subivano la capitis deminutio minima ed erano trascinati in potestate dell’adrogante; la finzione consisteva nel considerare parte della famiglia soggetti in realtà a essa estranei e non sottoposti alla potestà di alcuno, al fine di evitare l’estinzione della famiglia e garantirne la prosecuzione, oltreché, talvolta, per accrescere il prestigio e aumentare il reddito familiare. 10)
Le finzioni pretorie – le c.d. actiones ficticiae – derivavano dall’attività giusdicente del praetor, organo ibrido tra il legislativo e il giudiziario, che utilizzava le fictiones iuris essenzialmente come uno strumento a tutela dell’aequitas: infatti, al tempo, data la rigidità dello ius civile, il diritto pretorio tentava di addolcire tale asprezza con l’uso delle finzioni giuridiche, che, lungi dal permettersi di modificare formalmente il diritto civile, in realtà raggiungeva proprio questo scopo, fingendo che si fossero realizzati i presupposti da esso richiesti, per dare tutela a esigenze e rapporti nuovi.
Alcune azioni particolarmente ricorrenti, come l’actio furti e l’actio legis aquiliae, erano riservate ai cives romani e sottratte ai peregrini. Perciò, se uno straniero era coinvolto in un furto o in un danno come vittima o autore e la controparte era un cittadino romano, il peregrinus non poteva né agire né essere convenuto in giudizio, con evidenti effetti paralizzanti del sistema. Per ovviare a ciò, i pretori ricorsero allo strumento della fictio iuris: infatti, ai fini dell’esperibilità di quelle azioni, imposero che i peregrini dovessero essere considerati uti cives. 11)
Altra actio ficticia era rappresentata dall’actio Rutiliana, con cui il bonorum emptor – colui che acquistava l’intero complesso di beni di un debitore irrimediabilmente insolvente – poteva ottenere il pagamento dei crediti vantati dal fallito, ancora vivente, nei confronti dei propri debitori: la fictio consisteva nel fatto che nell’intentio figurava il nome del fallito, mentre la condemnatio faceva riferimento al bonorum emptor, il quale – condemnatio convertitur – si avvantaggiava in concreto del provvedimento. 12)
Tra le finzioni giuridiche pretorie va ricordata l’actio Publiciana, ovvero l’azione con cui il soggetto che, avendo acquistato una res mancipi a seguito di mera traditio – senza conseguire il dominium ex iure Quiritium – ma essendo spossessato prima di averla usucapita, poteva chiedere la restituzione della res erga omnes nei confronti di chiunque gliela avesse sottratta: in questo caso la fictio era rappresentata dal fatto che il praetor fingeva che a favore dell’acquirente spoliatus, possessore di buona fede, fosse trascorso il periodo di tempo necessario a usucapire la res (2 anni per le res immobiles e 1 anno per le ceterae res), per far ottenere un risultato altrimenti difficilmente raggiungibile con la stessa fruttuosità e celerità. 13)
Le finzioni giurisprudenziali erano elaborate dai giureconsulti «che nella loro variegata attività di produzione di consilia, tesa alla ricerca di soluzioni sempre maggiormente raffinate e adatte alla multiformità dei casi concreti, erano fondamentali coadiutori del legislatore e del pretore nel suggerire l’introduzione o l’applicazione di determinate finzioni». 14)
Se è chiaro che il diritto romano ha fatto largo uso della finzione giuridica, non altrettanto chiaro è per quale motivo la scienza giuridica di Roma non abbia provveduto a una teorizzazione organica del fenomeno: «i giuristi romani non si preoccupano di discutere intorno alla natura della finzione… nemmeno cercano di formulare un’impostazione filosofico-giuridica del problema della finzione». 15)
Staff di Extrapedia Freedom