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Data……………..
Al Sindaco di ……………..
PEC:……………..
Alla Prefettura di ……………..
PEC:……………..
Al Presidente della Regione……………..
Sig. ……………..
PEC:……………..
E, PER CONOSCENZA:
Alla Procura della Repubblica di ……………..
PEC:……………..
Alla Corte dei Conti …………….. (indicare la Regione)
PEC:……………..
Al Procuratore regionale ……………..
PEC:……………..
Al Presidente ANCI …………….. (indicare la Regione)
PEC:(indicare la Regione)
Alla CA Ministro dell’Interno Avv. Luciana Lamorgese
PEC: gabinetto.ministro@pec.interno.it
Oggetto: istanza di accesso civico (FOIA) agli atti emergenza COVID
Egregi Signori,
il Codice della Protezione Civile (D. lgs. 1/2018) prevede che le emergenze debbano essere dichiarate a partire dai territori dove l’evento calamitoso si verifichi o sia di imminente verificazione (ciò ovviamente dovrà essere ratione legis documentato ufficialmente, come avviene, ad esempio, nei casi delle ondate alluvionali nel corso di una piena).
Ben lo chiarisce il sito della Protezione Civile nazionale:
“La prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura e l’estensione dell’evento, deve essere garantita a livello locale, a partire dalla struttura comunale, l’istituzione più vicina al cittadino. Il primo responsabile della protezione civile in ogni Comune è quindi il Sindaco. Quando però l’evento non può essere fronteggiato con i mezzi a disposizione del comune, si mobilitano i livelli superiori attraverso un’azione integrata e coordinata: la Provincia, la Prefettura, la Regione, fino al coinvolgimento dello Stato in caso di emergenza nazionale.
Questo complesso sistema di competenze trova il suo punto di raccordo nelle funzioni di indirizzo e coordinamento affidate al Presidente del Consiglio dei Ministri, che si avvale del Dipartimento della Protezione Civile.” http://www.protezionecivile.gov.it/servizio-nazionale.
E ancora meglio il concetto è espresso dalle leggi regionali: in particolare, la più chiara ed esplicita è quella della Regione Lombardia, aggiornata con il D.g.r. 6 marzo 2017 – n. X/6309, che enuclea il seguente principio:
“La valutazione di estensione e potenziali conseguenze di una situazione di emergenza, e quindi del livello da attribuire all’evento, è un processo non immediato, che inizia dalla valutazione delle prime conseguenze a livello territoriale. Un evento di Protezione Civile, quindi, parte sempre come evento di livello a) e può successivamente evolvere verso livelli più elevati”.
L’intero punto 2 del D.g.R. anzi enunciato, così si esprime: “…la Regione in cui l’evento è accaduto, valutate le conseguenze sul territorio, può chiedere allo Stato la dichiarazione di stato di emergenza; la Presidenza del Consiglio dei Ministri tramite il Dipartimento della Protezione Civile, valuta la richiesta e, se sussistono le condizioni, dà parere positivo alla dichiarazione, effettuata tramite decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ solo per gli eventi di tipo “c” che possono essere utilizzati strumenti tecnico-amministrativi straordinari, quali ad esempio le Ordinanze di Protezione Civile, con i quali è possibile derogare in parte alle normative vigenti. Proprio in ragione della sua natura (strumento straordinario di gestione dell’emergenza, con atti – Ordinanze- che stabiliscono parziali deroghe alla normativa vigente) lo stato di emergenza viene riferito ad uno specifico territorio ed ha una durata limitata nel tempo (…) La valutazione di estensione e potenziali conseguenze di una situazione di emergenza, e quindi del livello da attribuire all’evento, è un processo non immediato, che inizia dalla valutazione delle prime conseguenze a livello territoriale. Un evento di Protezione Civile quindi parte sempre come evento di livello a) e può successivamente evolvere verso livelli più elevati. D’altro canto, la risposta all’emergenza, per poter essere efficace, deve essere tempestiva e prevedere , in molti casi, l’intervento coordinato di più soggetti; ne deriva che, a livello operativo, anche le emergenze maggiori- c.d. “livello c)” – sono gestite, almeno nelle prime fasi dell’intervento, con criteri tipici del c.d. “livello b)”.
Anche la Legge della Regione Lazio 26 febbraio 2014, n. 2 “Sistema integrato regionale di protezione civile. Istituzione dell’Agenzia regionale di protezione civile” e successive modifiche, risulta molto chiara: “Quando la calamità naturale o l’evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune o con quanto previsto nell’ambito della pianificazione di protezione civile comunale, i Sindaci chiedono l’intervento di altre forze e strutture operative regionali alla Regione e di forze e strutture operative nazionali al Prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri interventi con quelli della Regione; a tal fine, i Sindaci assicurano il costante aggiornamento del flusso di informazioni con il Prefetto e con il Presidente della Regione in occasione di eventi di emergenza, curando altresì l’attività di informazione alla popolazione”.
La normativa regionale, ovviamente, si articola nell’alveo di quella nazionale, la quale prevede, sempre ricollegandosi al Codice della Protezione Civile aggiornato al 2018, che:
In buona sostanza, il Governo e le Regioni possiedono compiti di mero coordinamento e di indirizzo da dettare agli amministratori delle aree “interessate” dal problema, ovvero di quelle che abbiano dichiarato lo stato di crisi sul territorio comunale in primis, successivamente siano trascesi in quello regionale e infine abbiano chiesto la dichiarazione di emergenza di tipo C.
La classificazione di emergenza di tipo “C” va gestita con ordinanze del Capo della Protezione Civile nazionale, le quali si applicano SOLO ai territori indicati nella Delibera dell’emergenza di rilievo nazionale e vanno comunque recepite dai Sindaci secondo le effettive necessità di ciascun Comune. Le Regioni possono fornire indicazioni specifiche tramite deliberazioni della Giunta regionale e solamente nei limiti della propria potestà amministrativa e legislativa.
Tutto ciò è ben spiegato all’art. 25 del D. lgs. 1/2018.
Nel nostro ordinamento, L’UNICO che può emettere ordinanze in parziale deroga delle leggi statali (ma mai contrarie ai principi della Costituzione!) è IL SINDACO, al quale, in virtù degli artt. 50 e 54 TUEL e dell’art. 117 del D. lgs. 112/98 è consentito, per gestire gravi e concreti problemi sul territorio, emettere ordinanze “extra ordinem”, ovvero atti necessitati, che devono però essere basati su reali presupposti di urgenza, contingenza, imprevedibilità, impossibilità di avvalersi degli strumenti di legge ordinari e che DEVE basarsi su apposita istruttoria caso per caso e sulla consulenza di uno staff tecnico appositamente riunito.
Il Sindaco, nell’esercizio delle sue funzioni anzi dette, è personalmente responsabile sotto il profilo penale, civile, amministrativo ed economico delle conseguenze delle sue azioni e pure delle sue omissioni.
Un Comune che non abbia dichiarato l’emergenza (“chiesto aiuto” alla Regione) NON è in essa coinvolto e NON ha ragione di applicare le misure previste per gestire un’emergenza che in quel Comune non esiste.
Il Sindaco ha il dovere di informare la popolazione che l’emergenza non c’è e la vita deve scorrere come sempre, pur con le dovute attenzioni alle “raccomandazioni sanitarie”, che sono “…appannaggio dello Stato. L’art. 112, comma 3, lettera g) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59) ha da ultimo confermato, quanto alla sorveglianza ed al controllo di epidemie di dimensioni nazionali e internazionali, la competenza statale, pur delegata alle Regioni dall’art. 7, comma 1, lettera a) della menzionata legge n. 833 del 1978…” (stralcio sentenza succitata del Giudice delle Leggi n. 37/21).
Tutte le superiori premesse, sono in sostanza confermate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 37/21, giacché come chiaramente espresso in sentenza “Val D’Aosta: “…che con tale previsione il legislatore non abbia inteso riferirsi all’ovvio limite territoriale di tutti gli atti assunti in sede decentrata, ma, piuttosto, alla natura della crisi sanitaria da risolvere, viene poi confermato dall’art. 117 del D. Lgs n. 112 del 1998, che modula tra Comune, Regione e Stato gli interventi emergenziali nella materia qui coinvolta, a seconda “della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”. Tale disciplina ha poi trovato conferma nell’art. 50, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)…”.
Guarda il caso, la Corte richiama l’art. 50 del TUEL: “… in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale..”.
Ed ancora la Corte continua :”…L’art. 7, comma 1, lettera c), in correlazione con l’art. 24 (ndr.: Codice della Protezione Civile) seguente, radica nello Stato il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti di protezione civile, acquisita l’intesa con le Regioni e le Province autonome «territorialmente interessate», sicché, ancora una volta, è l’eventuale concentrazione della crisi su di una porzione specifica del territorio ad imporre il coinvolgimento delle autonomie quando, pur a fronte di simile localizzazione, l’emergenza assuma ugualmente “rilievo nazionale”, a causa della inadeguata «capacità di risposta operativa di Regioni ed enti locali» (sentenza n. 327 del 2003; in seguito, sulla .necessità di acquisizione dell’intesa in tali casi, sentenza n. 246 del 2019)…”.
E nel senso di favorire l’unitarietà dell’azione di tutti gli enti coinvolti, la Corte caldeggia: “…un’azione o un COORDINAMENTO unitario può emergere come corrispondente alla distribuzione delle competenze costituzionali e alla selezione del livello di governo adeguato ai sensi dell’art. 118 Cost. e che “…le scelte compiute a titolo di profilassi internazionale si intrecciano le une con le altre, fino a disegnare un quadro che può aspirare alla razionalità solo se i tratti che lo compongono sono frutto di un precedente INDIRIZZO unitario…”, che parta dalla base ovvero dalla disciplina prevista dall’art. 50, comma 5 TUEL.
Giova altresì sottolineare che le suesposte considerazioni sono avallate dall’ art. 12 dell’Atto del Governo n. 479 Articolo 1 Legge 16 marzo 2017, n. 30
“Riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile” (https://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/Am0274.pdf):
“… L’art. 12 specifica che il sindaco, in coerenza con quanto previsto dal TUEL (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), per finalità di protezione civile è responsabile, altresì, dei seguenti ambiti: l’adozione di provvedimenti anche contingibili ed urgenti volti a prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità pubblica, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla struttura di protezione civile. Nel caso in cui la calamità naturale o l’evento non possano essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune o di quanto previsto nell’ambito della pianificazione, al sindaco spetta la richiesta dell’intervento di altre forze e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri interventi con quelli della Regione…”.
In estrema sintesi: l’emergenza di protezione civile deve partire ed essere richiesta dal territorio, in cui si manifesta l’evento calamitoso, rammentando che il D. lgs. 1/2018 non distingue tra tipi di calamità e si occupa in particolare delle risorse per gestirle e prevede che un’amministrazione possa “dichiarare lo stato di crisi” SOLO QUANDO ABBIA ESAURITO LE RISORSE e abbia necessità di accedere a quelle dell’amministrazione superiore.
L’emergenza sanitaria (l’unica realmente sussistente) è gestita dal corrispondente Ministero della salute, come corretto che sia, ma non risulta sia stata effettivamente deliberata.
L’emergenza pandemica, che spetta alla OMS dichiarare (la stiamo ancora aspettando!), ai fini dell’attivazione del piano pandemico prevede 6 fasi, l’ultima delle quali è detta “fase pandemica” e solo arrivati alla fase 6, livello 1, il Governo avrebbe potuto considerare di dichiarare l’emergenza di livello C (a quel punto il Paese avrebbe però dovuto essere in ginocchio per l’elevatissimo numero di morti e malati!).
Sindaci, Prefetti e presidenti di Regione, dunque, hanno il preciso compito di informare i cittadini sui reali rischi in base ai dati epidemiologici (malati con diagnosi) e non virologici (positività al tampone), nonché sulla effettiva non applicabilità dei decreti-legge emessi per gestire l’emergenza laddove non sia stata dichiarata emergenza alcuna.
La Legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) dispone:
A tale proposito, giacché né il Governo, né i presidenti di Regione sembrano ricordare che la delimitazione dell’estensione territoriale dell’emergenza di Protezione Civile è requisito fondamentale del D. Lgs. 1/2018, nonché di tutte le leggi regionali,
il/la sottoscritto/a …………….. nato/a a ……………… il …………….. e residente in …………….. (…), via …………….. n. ……, in virtù di quanto previsto dall’articolo 5 del d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, con la presente intende esercitare il proprio diritto, notato che:
CHIEDE
di prendere visione dell’atto, ovvero di tutti gli atti finora emessi, di qualunque tipo (delibera, ordinanza, comunicazione, etc.), con cui:
Si chiede dunque alle amministrazioni di voler mettere a disposizione un link permanente, data l’odierna mancanza di riferimenti, presso il quale tutti i cittadini possano quotidianamente consultare gli atti richiesti oppure di inviarli quotidianamente all’indirizzo PEC della scrivente.
Si attende ricevuta contenente tutti i dati di cui agli artt. 8 e 18 della Legge 241/90.
Vista la gravità della situazione, si chiede riscontro entro 5 giorni dalla ricezione della presente.
In fede ……………..