ASSISTENZA LEGALE Obbligatoria?

Secondo il Brocardi (si veda sotto), sebbene ponga in evidenza i punti che ne escluderebbero l'obbligatorietà, parrebbe proprio di sì (“diritto inviolabile ed irrinunciabile per il cittadino”). Dello stesso parere anche tante sentenze. Eppure, nella complessa normativa si parla di “diritto all'assistenza legale”, non di DOVERE e, per logica ognuno deve essere libero di rinunciare a un diritto, o di revocarlo. “Cuique defensio tribuenda” significa: A tutti deve essere concesso il diritto di difendersi, non di essere difeso!

La rinuncia in senso stretto è il negozio consistente nella dismissione di un diritto. La rinuncia è quindi un negozio istituzionalmente abdicativo e, nel nostro caso, unilaterale: il titolare del diritto se ne priva, limitandosi a dismetterlo senza trasferirlo ad altri.

Noi sappiamo bene, ormai, che le leggi non sono altro che contratti le cui applicazioni ultime sono trasferite in capo ai Giudici, ai quali andrebbe rammentato questo fatto. Allora, in quanto negozio unilaterale sarebbe invocabile l’Art. 1324 c.c per cui si applica, in quanto compatibile, la disciplina dei contratti (a tale riguardo si discute se agli atti unilaterali sia applicabile l’art. 1322 e, secondo una tesi ancora maggioritaria, si opta per la teoria della tipicità degli atti unilaterali).

Nel caso di revoca, la stessa opera ex tunc (“da allora”), con effetti retroattivi quindi, eliminando il negozio dal mondo giuridico. La rinuncia (come il recesso) opera ex nunc (“da adesso”), comportando la dismissione di un diritto già acquisito.

Concetti difficili da fare digerire a quanti vorrebbero che accettassimo un “contratto” non a carico nostro (come persone in carne, ossa e sangue) ma del nostro certificato di nascita, per cui vorrebbero rendere obbligatoria la presenza e assistenza (riconoscendoci “incapaci”) di un legale che rafforza tale situazione grazie alla sua Notifica di Comparizione per rappresentarci….

Per fortuna, oltre i richiami agli Artt. 10 e 117 della Costituzione, a tagliare la classica “testa al toro” e a darci il diritto di rinunciare a essere “rappresentati”, c'è la: LEGGE 25 ottobre 1977, n. 881 (Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966. (GU Serie Generale n.333 del 07-12-1977 - Suppl. Ordinario) che all'Art. 14, comma 3 (Parte Terza) sancisce alle lettere “d” e “e”:

«Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo alle seguenti garanzie:

  • d) a essere presente al processo e a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta;
  • e) a interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ad ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico»

Dal Brocardi

La prima norma della Costituzione che viene invocata per sostenere la teoria della non obbligatoria assistenza dell’avvocato è l’art. 10 Cost., il quale nel suo primo comma impone all’ordinamento giuridico italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

Da questa norma si passa a citare il contenuto dell’art. 24 cost., il quale, dopo aver disposto che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, riconosce la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Si osserva che in quest’ultima norma mancherebbe ogni riferimento alla obbligatoria assistenza tecnica da parte di un avvocato, ma in realtà manca anche ogni enunciazione circa la possibilità di difesa personale in giudizio.

I primi due commi della norma, infatti, non sono altro che espressione di quello che nella parte introduttiva di questa consulenza abbiamo definito valore supremo di ogni società civile, ossia garantire giustizia a ciascun individuo e difendere “anche se cade il cielo” (ossia in ogni stato e grado del procedimento) i diritti che siano stati violati nei rapporti tra privati e gli interessi legittimi lesi da una pubblica amministrazione.

Il terzo comma della norma, invece, lascia proprio supporre che per la tutela dei diritti ed interessi lesi ci si debba rivolgere ad un avvocato, in quanto non avrebbe alcun senso preoccuparsi di garantire una difesa anche ai non abbienti se, di contro, si vuole pretendere che ciascun individuo debba potersi difendere da solo.

Proprio in relazione a tale norma la Corte Costituzionale, con sentenza n. 46 datata 8 marzo 1957, ha affermato che l’esercizio del diritto di difesa sancito dall’art. 24 cost. “deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”.

Altra norma contenuta in leggi internazionali e da cui si vorrebbe trarre argomento a sostegno della difesa personale è l’art. 14 comma 3 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (firmato a New York nel 1966 e recepito dallo Stato italiano con la legge di ratifica 25 ottobre 1977 n. 881).

La parte di tale norma che viene evidenziata è quella in cui si dice che ogni individuo, accusato di un reato, ha diritto ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta. Non si vede, per la verità, dove tale norma possa confliggere con il nostro diritto nazionale né come la stessa possa essere interpretata nel senso che la difesa personale sia alternativa a quella tecnica di un avvocato. Al contrario, si ritiene che essa nulla dica di diverso rispetto alla nostra legge nazionale, dovendosi dalla medesima dedurre l’enunciazione del diritto di difesa quale diritto inviolabile ed irrinunciabile per il cittadino, da assicurare mediante la necessaria assistenza di un difensore “ogni qualvolta l’interesse della giustizia lo esiga” (espressione quest’ultima contenuta proprio nell’art. 14 comma 3 appena citato). E quando l’interesse della giustizia può esigere l’assistenza tecnica di un avvocato se non in quegli stessi casi di fattispecie non bagatellari, come previsto dal nostro ordinamento? Né si può trarre argomento a favore della propria idea da quell’altra parte della norma che garantisce a ciascun individuo accusato di essere presente nel processo, quasi ad invocare una partecipazione personale e diretta. Tale parte della norma, infatti, si ritiene che non sia altro che esplicazione del diritto di tutela giurisdizionale sancito dal secondo comma dell’art. 24 cost. e del diritto al contraddittorio garantito dall’art. 111 Cost., che rappresenta l’aspetto sostanziale della difesa tecnica.

Stesso discorso vale per quanto disposto dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui comma 3 riconosce all’accusato il diritto di difendersi personalmente o di avere l’assistenza di un difensore di sua scelta… quando gli interessi della giustizia lo esigono.

Anche qui, come si vede, si riconosce che la difesa tecnica debba essere affidata ad un avvocato nei casi in cui gli interessi della giustizia lo esigono, con la conseguenza che l’attività dell’avvocato deve intendersi non solo oggetto di un diritto individuale, ma anche espressione di un interesse generale dell’amministrazione della giustizia stessa.

Nel nostro ordinamento, ad esempio, per le controversie civili è l’art. 82 del c.p.c. a stabilire quando gli interessi della giustizia impongono di avvalersi di un avvocato, disponendo che le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100; al di là di tale limite, sussiste la presunzione legale che il diritto di difesa non possa essere correttamente esercitato se non con il ministero o l’assistenza di un difensore, trovando ciò spiegazione nel fatto che il procedimento si arricchisce di aspetti tecnici che richiedono necessariamente l’intervento di un professionista in materia (come peraltro avviene per lo svolgimento di qualunque attività per la quale sia previsto il compimento di studi specialistici ed il conseguimento di una specifica abilitazione).

Neppure si ritiene che possa militare a favore della difesa personale in giudizio l’art. 16 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici firmato a New York nel 1966, il quale dispone che “Ogni individuo ha diritto al riconoscimento in qualsiasi luogo della sua personalità giuridica”.

Anche la scelta di nominare un difensore da cui farsi assistere in giudizio costituisce esplicazione della personalità giuridica (o meglio della capacità giuridica) di un individuo, con l’unica differenza che il suo diritto di difesa viene esercitato per il tramite di un rappresentante, come peraltro avviene nel caso di minori e incapaci (ai quali si attribuisce per legge un rappresentante legale).

Alle norme appena citate, invece, si vuole aggiungere l’art. 47 della Carta di Nizza, il quale dispone al terzo comma che ogni individuo ha facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare, aggiungendo che, a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti, va concesso il patrocinio a spese dello Stato se ciò si rende necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.

Solo l’assistenza dell’avvocato sarà in grado di garantire all’individuo di essere tutelato in maniera effettiva in giudizio.

In conclusione, dunque, si ritiene che la figura dell’avvocato debba esser vista proprio come volta alla tutela dei diritti umani per i quali milita l’associazione richiedente il parere, dovendosi riconoscere all’avvocato una vera e propria funzione sociale, consistente nell’aiutare il proprio assistito ad ottenere o salvaguardare un proprio diritto, operando senza violare quello degli altri ed in piena e corretta applicazione delle regole sostanziali e processuali dettate per la civile convivenza.

Tutti concorrono al nostro castigo!

Staff di Extrapedia Freedom